Hanno scritto di lui
Tratto da …ROCCO BORELLA - L’ENERGIA DEL COLORE
Presidente Associazione Culturale Rocco Borella (ARB)
“L’educazione e le radici della cultura occidentale hanno sempre mantenuto un più o meno inconsapevole distacco e paura per il colore. La consapevolezza di questa affermazione sarà maggiore in coloro che si siano per diletto o lavoro recati in India od Estremo Oriente.
La paura del colore o cromofobia pervade la cultura occidentale in varie manifestazioni e ovviamente questo atteggiamento ha avuto ripercussioni anche nelle manifestazioni artistiche. Plinio fu uno dei primi cromofobi ad attribuire ai colori accesi l’espressione di “orientalismo decadente”. Affermava che nella Grecia classica il più famoso pittore Apelle usava sulla sua tavolozza solo quattro colori: bianco, nero, rosso e giallo. Non essendo giunte fino a noi le opere di Apelle, non esistono molte conoscenze sull’uso dei colori nella cultura greca antica, ma è presumibile che la gamma di pigmenti fosse all’epoca più ampia. Il paradosso di Plinio si basa probabilmente su considerazioni filosofico-metafisiche, poiché quattro colori “primari” corrispondono a quattro elementi aristotelici: terra, aria, fuoco, acqua.
La problematica relativa al rapporto tra uso dei colori e cultura occidentale doveva essere ben nota ad Yves Klein , che affermava: “l’Uomo è esiliato lontano dalla sua anima colorata”. Il colore è di fatto in grado di esprimere in modo diretto emozioni violente, passioni, erotismo…esperienze e necessità dell’Uomo di ogni epoca. Inoltre il colore assieme alla matematica formale e alla musica deve considerarsi uno dei tre linguaggi universali.
Ad attirare l’attenzione sullo studio del colore fu senza dubbio merito di Johan Wolfgang Goethe che si cimentò con l’impegno di un “dilettante illuminista” nel produrre il famoso testo scritto nel 1909: “Farbenlehre” (La teoria dei Colori). Benché il trattato non possa considerarsi realmente un testo scientifico, deve assolutamente essergli riconosciuta l’importanza di aver messo in primo piano gli aspetti psicologici del colore. Nel capitolo “Azione sensibile e morale del colore”, Goethe scrive: “Il colore esercita un’azione sul senso della vista, a cui esso in maniera evidente appartiene e, per suo tramite, sull’animo nelle sue più generali manifestazioni elementari. Si tratta di un’azione specifica quando il colore sia preso nella sua singolarità, mentre, in combinazione con altri, si tratta di un’azione armonica, spesso anche non armonica, sempre tuttavia decisa e significativa, che si riallaccia direttamente al momento morale.” In definitiva per Goethe ogni singolo colore o le differenti combinazioni armoniche e disarmoniche donano particolari stati d’animo. Fu anche il primo ad introdurre espressioni quali “Energia del Colore (sezione IV)” , “colores emphatici”e “gravità del colore”. E’ indubbio che Farbenlehre abbia in varia misura condizionato Wassily Kandinsky (1866-1944), Paul Klee (1879-1940), Josef Albers (1888-1976), fino ai giorni nostri.
Lo stesso Kandinsky, che se non posso in assoluto considerare il più grande artista di sempre riconosco storicamente come il sommo filosofo dell’arte, nel famoso “Uber das Geistinge in der Kunst” (Lo Spirituale nell’Arte-1912) prosegue la trattazione sull’ effetto del colore ed elabora la teoria per cui: “ogni colore ha una forza poco studiata, ma immensa” ed attribuisce “movimento” al colore nell’arte. Kandinsky scrive:” Il colore , correttamente usato, può muoversi verso lo spettatore o allontanarsene, protendersi o ritrarsi, e fare del dipinto qualcosa sospesa nell’aria, dilatando pittoricamente lo spazio. L’unione, armoniosa o contrastata, di questi due modi di dilatare lo spazio è uno dei punti di forza della pittura”. Quasi in contemporanea, nel 1905 balzò all’attenzione del pubblico dell’arte un nuovo movimento, che anche se breve fu molto intenso e significativo, il Fauvismo, che fu battezzato in questo modo dal termine “fauves”, che significa ”bestie selvagge”. Le bestie selvagge del movimento erano tre: André Derain (1880-1954), Maurice de Vlaminck (1876-1959) e Henri Matisse (1869-1954). Particolarmente in Matisse il colore era la sostanza stessa con cui si componevano i quadri e con cui l’arte aveva ragione di essere: “I colori ti conquistano sempre più. Un certo azzurro entra nell’anima. Un certo rosso ha un effetto sulla pressione sanguigna. Un certo colore tonifica. E’ la concentrazione di timbri. Si sta aprendo una nuova era”.
Il Fauvismo è stato un movimento di grande rottura con la tradizione, ma altresì l’espressione di nuove tecnologie che si affacciavano agli albori del XX secolo, utilizzando “colori nuovi” e “colori chimici”, come l’innovazione del rosso cadmio, il rosso Marte (ossido sintetico di ferro), il giallo e arancio cadmio. Nel 1919 l’industria chimica Bayer rese disponibili aranci e rossi con differenti quantità di selenio. La tavolozza di Matisse fu arricchita da nuovi intensi colori.
Il progressivo sviluppo della chimica e della tecnologia dei colori ha caratterizzato tutta l’arte del ‘900, mettendo a disposizione dei “Maestri coloristi” tutti i mezzi necessari allo sviluppo dell’Espressionismo, del Minimalismo e della corrente del “Color-Field” (P. Ball, “Colore, una biografia”, 2001). In varie forme di astrattismo il colore parla da se, non rappresentando altro che se stesso. Si tratta di un’idea radicale che trova fondamento e sostegno in vernici e materiali mai prima visti nell’arte. Gli agglutinanti sintetici, gli smalti lucidi (inizialmente per uso industriale), per di più così economici da poter essere sperimentati in tutte le forme e adatti a coprire tele e superfici gigantesche a basso costo, come ad esempio nel caso di Jackson Pollock. Anche queste considerazioni “finanziarie” non potevano per necessità essere trascurate dagli artisti contemporanei. In seguito tra i nuovi mezzi per dipingere comparivano come rivoluzionari gli acrilici, le lacche sintetiche con nitrocellulosa e pigmenti (entrambi asciugavano rapidamente…), gli alchidi (resine sintetiche), e così di seguito.
L’entusiasmo e l’ispirazione degli artisti del ‘900 verso le tecniche del colore “industriale” non può essere meglio espressa che con le stesse parole di Frank Stella quando disse: “ho cercato di mantenere la vernice bella come quando si trova nel barattolo…”. Frank Stella riuscì di fatto ad usare in arte vernici industriali in “maniera industriale”.
Purtroppo, a fronte di un evidente sviluppo tecnologico dei colori nel ‘900 e sino ad oggi nel XXI secolo, non si è assistito ad una scientifica definitiva analisi dei reali effetti del colore sulla mente umana. Provocatoriamente ho discusso più volte con le nuove figure di esperti che si affacciano nel mondo odierno, quali i così detti “designer del colore”, e gli stessi hanno ammesso quanto empiriche restino molte osservazioni relative al rapporto colore-osservatore. L’utilizzo in studi specifici della PET (tomografia ad emissione di positroni), associata a nuove tecniche psicometriche ed endocrinologiche, per il dosaggio di dopamina e peptidi definiti endorfine, potranno meglio chiarire alcuni aspetti del “piacere dell’esperienza artistica”.
Poiché la presentazione di questa antologica riguarda un grande Maestro del Colore, quale è stato il genovese Rocco Borella, viene spontaneo da chiedersi come Borella e come tanti altri “coloristi” siano con così grande abilità in grado di associare, comporre, e contrapporre i colori realizzando inequivocabilmente arte. E’ ovvio che le attitudini e le “ricette” possano essere differenti per i vari Autori, alcuni basandosi su regole e veri “progetti”, altri (o i medesimi in circostanze differenti) seguendo un meraviglioso istinto.
Su questi aspetti proverò a rispondere in relazione all’interpretazione propria di Rocco Borella, per quanto siano grandi i miei limiti di appassionato e per quanto siano limitate le mie conoscenze.
Esiste un “Metodo Borella” ? La risposta più semplice è quella che l’Autore sappia riconosce elementi di colore semplici (cromemi) e su di essi sappia costruire un linguaggio articolato e universale (vedi anche Biografia). Nel 1964 Germano Celant si esprime così sulla produzione artistica scientifico-oggettiva di Borella: ”I cromemi sono definiti approssimativamente attraverso quattro variabili: timbro (t), intensità (i), altezza (a), e lunghezza d’onda (l). L’insieme dei cromemi è da considerare infinito poiché non risulta composto da un numero finito di elementi”. Ancora oggi mi affascina questa descrizione che Celant fa del linguaggio “borelliano” , che paradossalmente ha forse regole, ma non ha limiti. Le regole sono però sue proprie e sarebbe a mio avviso limitativo ricondurle ad una corrente, come spesso la critica ha cercato di riconoscere ora nel neo-costruttivismo di scuola svizzera, ora nel “Color-Field” di Rotkho, o nel minimalismo. In realtà Borella con il suo “linguaggio infinito” abbraccia l’intera sperimentazione colorista del ‘900 e il linguaggio stesso da lui sperimentato diviene “metafora totale dell’esistente” (S. Solimano 2001). La sperimentazione è assolutamente in primo piano, infatti alle differenti tecniche pittoriche associa la sperimentazione abbinata di tutti i nuovi materiali degli anni ’60 e ’70. Quindi, come spiegato anche nella parte biografica ha utilizzato: oli, acrilici, resine associate a pigmenti, idropittura, smalto, ma anche materiali come nastri adesivi, formiche, vetri stampati, alluminio, moquette, vinilpelle, ecc..
Il processo ottico-psicologico che si sviluppa nell’osservatore produce indefinibili energie positive. Escluse le opere del periodo post-bellico, “anatomie” (drammatiche e bellissime), non ho mai sperimentato contemplando le opere importanti di Borella tristezza, né emozioni negative, nè inibizione. E’ per questo che interpreta bene Raimondo Sirotti quando scrive: “credo che in pochi casi si possa riscontrare un’osmosi così evidente come quella tra Rocco-Uomo e Rocco-Pittore. Intendo dire che i quadri di Rocco sono Rocco stesso e in questo suo essere, lui medesimo il quadro……in lui rigore e libertà diventano una cosa sola”.
Rocco Borella per mia personale opinione resta il numero uno indiscutibile dei coloristi italiani del ‘900. Questa mia affermazione radicale farà storcere il naso e azzera con scarso ritegno i risultati del così detto “mercato”, ma questo risente oggi troppo sensibilmente di operazioni speculative, effetti mediatici, del contesto storico dell’Artista, e diciamolo francamente anche dell’ignoranza dei fruitori e di certi collezionisti. Per discutere del contesto in cui l’Artista vive o ha vissuto, si può rimarcare che un artista per esempio di Forma 1 è inevitabilmente sostenuto da l’ importante ambiente economico, storico e culturale romano. Borella soffre di un contesto ligure (sicuramente di grande valore per l’arte contemporanea, poiché Genova ed Albisola sono state crocevia di importantissime correnti ed esponenti artistici), ma che non regge il passo nel sostegno sul mercato dell’arte. Non importa! Non importa se l’artista ha “le gambe” e la Storia.
I valori restano, i valori durano, crescono spesso lentamente, non necessitano di strane impennate, ma solo di sostegno e fiducia: è quello che cerca di fare con l’aiuto di tutti gli appassionati e collezionisti l’Associazione Culturale Rocco Borella (ARB). “
Giuseppe Martucciello
- Plinio, Naturalis Historia, citato in V.J. Bruno, Form and Color of Greek Painting, Thames & Hudson, London 1977
- Yves Klein, citato da S. Stich: Catalogo della Mostra Hayward Gallery, London,1995
- Goethe J Wolfgang von, Die Farbenlehre, 1810
- Wassily Kandinsky, Uber das Geistinge in der Kunst (Lo Spirituale nell’Arte),1912
- Ball P, Colore, una biografia, 2001
- Caprile L, Borella, Edizioni Artistiche Cortina Verona, 1988
- Solimano S, Rocco Borella, Antologica Museo d’Arte Contemporanea di Genova, Edizioni CHARTA, 1992
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“Ho avuto una settimana fa il pacco di Borella da Genova, perché l’avevo ritirato con qualche ritardo (….). Altri quattro o cinque giorni sono passati prima di aprire: ho la casa in gran disordine e non volevo che la ottima tela di Borella vedesse, coi miei occhi dipinti, tanta cartaccia e tanta polvere….
Carlo Emilio Gadda
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"Sanguigno, come Emilio, ricordo il loro talvolta aspro confronto dialettico..., Rocco era una creatura originale, spontanea e soprattutto generosa. Ho avuto sempre grande stima per l'artista ma con il rammarico che non abbia ancora avuto il riconoscimento che si meriterebbe...si fosse trasferito definitivamente a Parigi, presso il fratello...ma quante generazioni di studenti genovesi avrebbero perso un riferimento?".
Giorgina Scanavino
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“ I cromemi sono definiti approssimativamente attraverso quattro variabili il timbro (t), l’intensità (i), l’altezza (a), e la lunghezza d’onda (l). l’insieme dei cromemi è da considerarsi infinito poiché non risulta composto da un numero finito di elementi (…).
La legge delle combinazioni opera su quantità isolate ed autonome o sull’insieme dei cromemi mediante le operazioni le cui più elementari risultano la sommatoria e l’interferenza.
Il discorso cromatico di Borella può quindi considerarsi come un’organizzazione semplice di queste operazioni elementari tra gli infiniti cromemi, egli propone una serie di successioni, rigorosamente costruite e programmate, che però esige siano acasuali; ogni cromema infatti, nella visione cromatica strutturata di Borella, viene ad acquistare un valore autonomo, che comprende in sé ogni sviluppo successivo (datogli dal variare delle incognite) e che svolge, mediante un meccanismo ottico/psicologico, una funzione stimolatrice sull’osservatore, a cui sollecita sensazioni misurabili, valutazioni ed indicazioni.
Germano Celant
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“La Sua pittura astratto-concreta di derivazione dalla scuola Bauhaus e in particolare dall’opera di Klee, linguaggio e sistema espressivo che Borella sviluppò dopo un primo periodo influenzato dalla cultura visiva figurativa di matrice cubista.
La sua costante attenzione è rivolta allo studio analitico dei colori accostati in “tassellature” semplici e ordinate dove il dato percettivo diventa riferimento costante.
Il rapporto luce-colore porta l’artista ad individuare gli elementi primi del fare pittorico: il “cromema”che può essere considerato l’equivalente del “fonema” e del “lessema” secondo una visione strutturalistica della comunicazione.
Successivamente nei “Guard-rail” il suo linguaggio si sviluppa attraverso elementi che con il solo colore steso a fasce parallele strutturano la superficie del dipinto e ne definiscono l’area percettiva, giungendo in alcuni momenti a sperimentazioni materiche, “optical”, oppure, come nelle grandi tele realizzate negli ultimi anni, a momenti di libertà espressiva, sia cromatica che compositiva.
Il colore come materia cromatica tradizionale, ma anche i materiali colorati come i laminati plastici e nastri adesivi, oppure il colore su materiali diversi come tessuti, metalli e altro, diventano pertanto occasione di studio, di indagine per individuare le diverse proprietà e la conseguente percezione delle differenti tonalità cromatiche a volte inaspettate. Ecco che Borella pur partendo da riferimenti e regole di tipo scientifico approda (o forse è sempre stato) in una pittura che va oltre al dato scientifico e si proietta nei liberi spazi della creatività”.
Germano Beringheli
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“…Borella era una creatura libera, un autentico maestro di vita, ben lontano da coloro che si atteggiano a caposcuola mentre non sono all’altezza di questo ruolo. Oggi assistiamo a un ribaltamento di valori di cui sono responsabili certi critici improvvisati che non conoscono affatto la storia dell’arte. Vengono portati alle stelle artisti mediocri. Noi invece vogliamo dare risalto all’intelligenza, al linguaggio, all’avanguardia vera che nasce da una esigenza profonda. Borella è un punto fermo nell’arte italiana contemporanea”.
Milena Milani
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“Del Colore e del Segno”
In occasione della Mostra Galleria Mosaico Chiasso-CH
5 Maggio – 8 Giugno 2011
Viaggiare l’Orizzonte Azzurro
di Viana Conti
“Premessa Viaggiare l’orizzonte azzurro vuole essere trasparente metafora del vivere, percorso d’iniziazione, di conoscenza, racconto quotidiano di un presente che si disegna sull’onda, sulla cresta liquida degli eventi. Baudelaire scrive che l’uomo libero ama tuffarsi nell’immagine di sé che lo specchio del mare gli restituisce. L’uomo e il mare – continua - tenebrosi e discreti, si nascondono nel frastuono, nei tesori e nel segreto dei propri abissi. È di questo viaggio che narrano le opere di Rocco Borella e di Mirella Marini, che in questa mostra si confrontano in prossimità e distanza, nella vitalità del colore l’uno, nella spazialità del segno l’altra. A diciassette anni dalla scomparsa di Borella, l’accostamento a Marini non è tanto motivato dal celebrare un’amicizia quarantennale quanto dal testimoniare i termini di uno scambio - prima tra maestro e allieva e poi tra artisti che hanno fatto responsabilmente ed autonomamente le proprie rispettive scelte di campo - riscontrabile oggi, nelle opere di entrambi, nella passione della ricerca, nell’utilizzo di materiali extra-artistici, nello sperimentalismo aperto e nella libera creatività, nella coniugazione dell’arcaico al contemporaneo e dell’estetico al politico, nella sintesi espressiva, nell’attitudine felicemente trasgressiva, nella poetica del comunicare all’osservatore la propria Weltanschauung, la propria visione del mondo.
Rocco Borella. La mostra. La presente mostra personale vuole essere un coloratissimo omaggio all’artista genovese Rocco Borella, a diciassette anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 23 settembre 1994: era nato a Genova nel 1920. Esponente di un’estetica e di una vita trasgressiva, Borella mantiene un suo posto di rispetto nell’arte contemporanea per la qualità della sua declinazione ottico-percettiva del colore e la sua ricerca gestaltica, nella storia della didattica, per il suo rapporto di scambio democratico di sollecitazioni con gli allievi, nell’immaginario delle generazioni che l’hanno conosciuto e di quelle che lo incontrano oggi, per la dinamica formale e linguistica della sua opera. Sperimentatore infaticabile di tecniche pittoriche e grafiche anche su materiali industriali ed extra-pittorici, è apprezzato già negli anni Cinquanta, da Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Ungaretti, dai coniugi Paolo e Lucia Rodocanachi, da Konrad Wachsmann, che stimolerà l’artista all’ideazione dei cosiddetti spazi Wachsmann, da Leonardo Sinisgalli, come collaboratore grafico alla rivista “Civiltà delle Macchine”, negli anni di attività all’Ansaldo, da Eugenio Carmi, art director dell’Italsider, da Giorgio de Chirico, dal regista Duccio Tessari, negli anni Sessanta dai coniugi, collezionisti, Rodolfo e Renata Cheli. Sono soltanto alcuni dei suoi numerosi amici ed estimatori. Fin dagli esordi, è attento alla lezione di Klee, Kandinskij e Picasso, rivelando precocemente una sua disponibilità tanto verso l’astratto che il figurativo. Partito, negli anni Quaranta, da un Neo-espressionismo, sotteso a soluzioni cubiste, pervenuto all’Astrattismo costruttivo negli anni Cinquanta, quando vince il premio Celle – nel 1956 verrà invitato alla Biennale di Venezia – tocca negli anni Sessanta l’apice della sua ricerca con i Cromemi, termine ideato per lui dal critico teorico e linguista Gian Paolo Barosso – ricercatore con Martino Oberto sull’area del segno ana-filosofico - che nel 1964 ne presenterà una mostra alla The Armory Gallery di New York. I suoi cromemi, minime unità alfabetiche del colore, corrispondenti, sul piano del suono, ai fonemi, sono tracce lineari di colore puro accostate su valori ottico-percettivi, rinvianti a possibili risonanze sonore o verbali e destinate a un’emozione, per così dire, fredda, originata dal rapporto di forze, tensioni, energie, tra colore e segno, e consegnata a una lettura retinica e linguistica insieme. Tra i suoi referenti ineludibili, in quegli anni, il russo-americano Rothko, il bauhausiano Albers, gli statunitensi Kelly e Stella, il riduzionismo minimal, sull’area delle arti visive, la musica elettronica, su quella della ricerca sonora. Appartiene agli anni Settanta la sua produzione di Guard-rail, strutture geometriche a valenza optical, realizzate in formica e serigrafia su tela e su carta, presentate alla Quadriennale romana del 1972. Negli anni Ottanta l’impianto strutturale geometrico tende ad aprirsi a smarginature, a sconfinamenti del colore, talvolta listato di nero, oltre la traccia segnica, verso il dilagare nella macchia, come piacere effusivo. Particolarmente vibranti, a livello cromatico e ritmico sono i pastelli a cera su carta di questo periodo. Assecondando quello che Sandra Solimano definisce un eclettismo selvaggio, Borella, lavora parallelamente sul terreno dell’astrazione e della figuralità, attivandosi sulla dimensione che ama definire arte rigenerata, termine che ben esprime la sua propensione verso una creatività libera, un utilizzo della molteplicità delle tecniche e dei materiali. Da sempre indifferente alla moda e al mercato, l’artista apprezza profondamente, tuttavia, l’occasione di storicizzazione offertagli dall’antologica che il Museo di Villa Croce gli dedica nel 1992, a cura di Sandra Solimano, nell’ambito della direzione di Guido Giubbini e dell’Assessorato alla Cultura di Silvio Ferrari. Morirà due anni dopo, nel settembre 1994. Un corpus di 170 opere entra a far parte della collezione del Museo. La rassegna è storicamente documentata da un catalogo edizioni Charta, preceduto nel 1988 da un altrettanto esauriente catalogo a cura di Luciano Caprile, Edizioni Artistiche Cortina Verona e seguìto, nel 2001, da quello De Ferrari Editore, Genova, a cura di Franco Ragazzi. Nel 2009 si è costituita a Genova, su incarico degli eredi Borella ed iniziativa dei soci fondatori, l’Associazione Rocco Borella, presieduta da Giuseppe Martucciello e, nella qualità di vice-presidente, da Gianfranco De Ferrari, con un comitato scientifico costituito da Germano Beringheli, Luciano Caprile, Mario Chianese, Leo Lecci, Martino Oberto. Il 22 settembe dello stesso anno è stata ufficialmente inaugurata, a suo nome, la Piazzetta Rocco Borella_Pittore, sita nei Giardini prospicienti la Stazione Brignole, a Genova.
La presente mostra si connota come un colorato ventaglio di espressioni pittoriche, grafiche e ceramiche, in cui viene evidenziato il valore progettuale e sperimentale dell’artista, insieme alla filtrata qualità poetica del segno, del gesto e del colore, terreni su cui Rocco Borella è stato un maestro.”
Viana Conti
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e Rocco scrisse di se stesso…….
“Da una ricerca situata nell’ambito rigoroso della cultura della percezione, il mio lavoro si è sviluppato sempre più verso l’individuazione della riflessione nell’immagine astratta del concetto razionale.
Ho cercato, in questi anni, di integrare la logica di liberazione dovuta all’informale in una regolarità strutturale, usando la forma e il rapporto geometrico, nel tentativo di realizzare immagini percettive costituite in maniera chiara da singoli - dati espressivi- (linea, forma, colore) relazionati tra loro.
Ma è soprattutto lo studio dell’autonomia semantica del colore ciò che più attrae oggi il mio interesse: rifiutando ogni implicazione formale, e quindi ogni legame codice-messaggio (cioè immagine-contenuto), sono passato ad una ricerca sulla sostanza visiva del colore, e più precisamente su quelle relazioni ottiche (cromatiche e spaziali) che la luce, il timbro, la quantità realizzano di volta in volta in modi diversi.
Proseguendo sulla via di quello che, sin dalle origini, il mio lavoro aveva voluto essere – cioè contributo ad un duplice impegno, metodologico e teorico – ho oggettivato il colore come strumento dell’analisi visivo-percettiva.
Il colore, assunto come realtà pura, produce una presenza di relazioni che esso stesso costituirà nelle diverse situazioni fisiche (per esempio , spazio-temporali) in cui si porrà, presenza strumentale di un discorso tutto didattico.
I cromèmi pittoricamente articolati tra loro nei vari miei quadri, si sviluppano logicamente in un discorso linguistico, come minime unità di significato, tipo il fonèma.
Su questo presupposto metodologico si possono sviluppare moltissime ricerche visive per individuare sempre nuovi e più precisi rapporti ottici tra quantità, colore, direzionalità, rapporti distanziali variabili o costanti.
Per un’operazione di questo genere, legata al mondo della scienza, della produzione, della socialità, ha senso soltanto l’uso di materiali e tecniche il più possibile industriali, di conseguenza la realizzazione del quadro con nastri adesivi, lasciati del colore originale o dipinti, applicati su strisce di laminato plastico, anch’esso usato nel suo colore originale o colorato con bombolette a spruzzo, l’utilizzo di tessuto a bande colorate, tagliato e ricucito, seguendo direzione e accostamenti differenti, diventano occasione di sempre nuove percezioni dove lo spazio-quadro diventa campo di intervento spaziale pluridirezionale e occasione di cromaticità nuove”.
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Hanno scritto di lui, tra gli altri: Apollonio, Arato, Argan, Bandini, Barosso, Battisti, Beghetto, Belloli, Beringheli, Bianchi, Bocci, Borzini, Bossaglia, Brooks, Bruno, Caprile, Celant, Cherchi Usai, Chilosi, Conti, Crispolti, Cristaldi, Di Genova, Ferrari, Fochessati, Frabetti, Gadda, Gallo Pecca, Ghiglione, Giannelli, Giubbini, Gorov, Maggio Serra, Manzoni, Marcenaro, Masini, Mastrolonardo, Migone, Molinari, Munari, Mura, Paganelli, Paglieri, Podestà, Radice, Ragazzi, Ragghianti, Rebuffo, Riva, Rossi, Sborgi, Segato, Soldati, Solimano, Ughetto, Valsecchi, Verzetti, Rodolfo Vitone.
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